ANNULLAMENTO N. 8 744 C (NULLITÀ)
Gilfin S.p.A., Via G. Leopardi 3/5, 46043 Castiglione delle Stiviere (MN), Italia (richiedente), rappresentata da Barzanò & Zanardo Milano S.p.A., Via Borgonuovo 10, 20121 Milano, Italia (rappresentante professionale)
c o n t r o
Brué S.p.A., Via de Gasperi, 9, 63815, Monte San Pietrangeli (FM), Italia, rappresentata da Fumero S.r.l., Via Sant’Agnese, 12, 20123 Milano, Italia (rappresentante professionale).
Il 11/04/2017, la Divisione di Annullamento emana la seguente
DECISIONE
1. La domanda di nullità è accolta.
2. Il marchio dell’Unione Europea n. 5 913 827 è dichiarato nullo per tutti i prodotti contestati, ossia:
Classe 25: Scarpe, stivali, pantofole e calzature in genere.
3. Il marchio dell’Unione Europea rimane registrato per tutti i prodotti non contestati, ossia:
Classe 18: Articoli fabbricati in cuoio e imitazioni del cuoio non compresi in altre classi; bauli e valigie; borse, borsette, borselli; articoli di pelletteria in genere.
4. La titolare del MUE sopporta l’onere delle spese, fissate in 1 150 Euro.
MOTIVAZIONI
In data 04/12/2013 la richiedente ha presentato una domanda di nullità contro il marchio denominativo dell’Unione Europea n. 5 913 827 ‘ATTIVA’ (nel prosieguo, il ‘MUE contestato’), depositato il 17/05/2007 e registrato 15/05/2008.
La domanda è diretta contro una parte dei prodotti per i quali il MUE contestato è registrato, vale a dire:
Classe 25: Scarpe, stivali, pantofole e calzature in genere.
La richiedente rivendica quale diritto anteriore il marchio non registrato ‘ATTIVA’ protetto in Italia e utilizzato per calze, calzini, gambaletti, calzamaglie e collant, in relazione al quale la richiedente invoca l’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), RMUE in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 4, RMUE.
SINTESI DEGLI ARGOMENTI DELLE PARTI
La richiedente la nullità espone quanto segue:
- La richiedente è una società del noto gruppo Golden Lady operante da decenni nel settore della produzione e della lavorazione di calze, collant, intimo e abbigliamento. Dal 1991 la richiedente utilizza il segno ‘ATTIVA’ per contraddistinguere una linea ‘OMSA’ di collant e calze riposanti a compressione graduata. Nel corso degli anni tale segno è stato oggetto di una massiccia e costante campagna pubblicitaria in Italia e all’estero. Tra il 2006 e il 2013 la commercializzazione dei prodotti ‘ATTIVA’ ha registrato la vendita di 30 milioni di paia di calze nel territorio dell’Unione Europea per un ammontare di 3 milioni di Euro per anno.
- Alla luce di un uso ventennale e diffuso nel territorio italiano, il segno ‘ATTIVA’ della richiedente ha acquisito notorietà ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), C.P.I. (Codice italiano della Proprietà Industriale) e, pertanto, per il combinato disposto di tale articolo con l’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), C.P.I., il marchio contestato deve essere dichiarato nullo.
- Quanto alla comparazione dei segni in conflitto, è indubbio che essi siano identici. Inoltre, i prodotti contestati nella classe 25 sono affini ai prodotti per i quali il marchio non registrato della richiedente è stato utilizzato in Italia. Ne consegue che sussiste un evidente rischio di confusione per i consumatori.
A sostegno delle proprie osservazioni, la richiedente ha prodotto materiale pubblicitario e promozionale, schede di prodotti, cataloghi e fatture. Tali documenti verranno debitamente elencati e analizzati nella apposita sezione della presente decisione.
In data 12/05/2014, la titolare presenta una richiesta di proroga del termine per depositare le sue osservazioni.
In data 16/07/2014, la titolare presenta una richiesta di sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 7, lettera c), REMUE, in ragione della pendenza presso il Tribunale di Brescia della causa R. G. 22062/2013 avente medesimo oggetto e medesime parti ed instaurata in data anteriore rispetto alla presente azione di nullità.
In data 21/07/2014, l’Ufficio informa la titolare che la richiesta di sospensione non può essere accolta poiché non opportuna in considerazione delle circostanze ex articolo 20, paragrafo 7, lettera c), REMUE. Il marchio oggetto delle controversie italiane non è quello dell’Unione Europea e, inoltre, l’eventuale accertamento in Italia dell’esistenza di un marchio non registrato non vincola l’EUIPO, in quanto l’articolo 8, paragrafo 4, RMUE assoggetta la tutela di segni non registrati al previo esame di ulteriori standard di diritto dell’Unione Europea.
Nella stessa comunicazione l’Ufficio, inoltre, informa la titolare che il termine per depositare eventuali osservazioni veniva prorogato al 27/07/2014. Poiché decorso tale termine la titolare non aveva presentato alcuna replica, in data 04/09/2014 l’Ufficio comunicava alle parti che la fase in contraddittorio era conclusa e che una decisione nel merito sarebbe stata presa in base alle prove in suo possesso.
In data 25/09/2014, la titolare presenta una richiesta di prosecuzione del procedimento ai sensi dell'Articolo 82 RMUE, a cui segue una memoria con gli argomenti in risposta alla domanda di nullità presentata dalla richiedente.
Nelle sue osservazioni, in via preliminare, la titolare richiede nuovamente la sospensione del procedimento, posto che il diritto anteriore invocato dalla richiedente, vale a dire il marchio non registrato ‘ATTIVA’, è stato parimenti invocato nella causa giudiziaria R. G. 22062/2013 dinanzi il Tribunale di Brescia. Ebbene, a detta della titolare, la validità del diritto anteriore vantato dalla richiedente è stata contestata sia nel merito dell’uso fatto nel territorio, sia perché tale uso è successivo a precedenti registrazioni di marchio in capo alla titolare. Pertanto, la titolare ritiene che il presente procedimento dovrebbe essere sospeso in attesa della pronuncia del giudice italiano in merito alla validità del diritto anteriore della richiedente.
La titolare, inoltre, adduce che la domanda di nullità è inammissibile in ragione dell’intervenuta convalida del marchio contestato e, in tal senso, invoca la preclusione per tolleranza ai sensi dell’articolo 54 RMUE sostenendo che è evidente che la richiedente sapesse dell’esistenza del MUE contestato, atteso che le due società operano nello stesso mercato con marchi identici e che una società di grandi dimensioni, quale la richiedente, effettua abitualmente controlli sui segni utilizzati dai concorrenti.
A detta della titolare, la richiesta di dichiarazione di nullità del MUE contestato appare infondata anche per il fatto che la richiedente non ha assolto l’onere di provare compiutamente il presupposto costitutivo del diritto invocato, e cioè una notorietà dell’uso del segno non puramente locale. La titolare osserva che la prova attestante il requisito della predetta notorietà è a carico della richiedente, a maggiore ragione in un caso come quello in esame in cui il MUE contestato è preceduto di oltre dieci anni da un segno identico, per prodotti identici/simili, a nome della stessa titolare (marchio dell’UE n. 93 021), di cui il segno in esame costituisce una naturale estensione dell’ambito di protezione.
Quanto alle prove fornite dalla richiedente, secondo la titolare, esse si riferiscono quasi esclusivamente al marchio ‘OMSA’, o in alcuni casi ‘Golden Lady’, e sono prive d’indicazioni specifiche in merito al territorio e al periodo di riferimento, oltre a provenire per lo più dalla richiedente stessa e non da fonti indipendenti. Inoltre, la gran parte degli spot pubblicitari della richiedente fa riferimento a paesi diversi dall’Italia e in svariati documenti il segno ‘ATTIVA’ è utilizzato come elemento descrittivo della funzione di calze riposanti a compressione graduata. A tal riguardo, la titolare sostiene che la richiedente stessa indica la denominazione ‘ATTIVA’ come ‘modello’ di prodotti a marchio ‘OMSA’ e, pertanto, non utilizza il segno anteriore invocato in funzione distintiva. Secondo la titolare, nella percezione del pubblico degli acquirenti è indubitabile, dunque, che sia la parola ‘OMSA’ ad assolvere la funzione di marchio identificativo della provenienza del prodotto, mentre le altre diciture (i.e. Attiva, Classico, Morbido, Velato, Viva, Fantastico, Super, Comfort, etc.) assolvono la mera funzione di indicare la tipologia del prodotto in questione.
La titolare evidenzia inoltre che un eventuale preuso come marchio del segno ‘ATTIVA’ da parte della richiedente dovrebbe essere considerato illegittimo poiché in violazione dei diritti della titolare.
Dopo una richiesta di proroga del termine, la richiedente replica in data 20/02/2015 reiterando i propri argomenti e rilevando come la preclusione per tolleranza invocata dalla titolare non sia supportata da alcuna prova che dimostri che la richiedente sia stata a conoscenza dell’uso del marchio contestato.
Quanto all’argomento della titolare sull’uso in forma descrittiva del segno ‘ATTIVA’ in combinazione con il marchio ‘OMSA’, la richiedente ribatte che un marchio può contraddistinguere un particolare modello (‘ATTIVA’) di una determinata linea di prodotti (‘OMSA’) di una determinata impresa (‘Golden Lady’) senza che la sua funzione d’identificazione d’origine commerciale ne sia pregiudicata.
A detta della richiedente, dal corposo materiale già presentato è evidente che il marchio non registrato ‘ATTIVA’ sia stato oggetto di un uso intenso ed effettivo su tutto il territorio italiano, considerato che gli spot televisivi sono stati trasmessi sulle principali emittenti nazionali e che, come si evince dalle copie dei cataloghi, delle fatture e dei prospetti, il segno è stato continuativamente utilizzato per molti anni.
Dopo una richiesta di proroga del termine, la titolare deposita una controreplica in data 05/07/2015, ribadendo i propri argomenti e segnalando che il marchio dell’Unione Europea n. 93 021, in capo alla titolare stessa, è stato depositato il 28/03/1996 e registrato per prodotti strettamente affini a quelli oggetto dell’asserito preuso da parte della richiedente. Secondo la titolare, tenuto conto che il MUE n. 93 021 rivendica una preesistenza in Italia che risale al 28/01/1993, i diritti anteriori invocati dalla richiedente non esistono, perché costituirebbero un’attività lesiva dei diritti di esclusiva della titolare.
La titolare poi rileva che i dati di vendita presentati dalla richiedente non indicano né come il segno ‘ATTIVA’ sia stato effettivamente utilizzato sui prodotti, né il luogo e i tempi in cui le vendite siano state effettuate. Tale documento apparirebbe, dunque, come una mera scrittura interna, priva di alcun riscontro obiettivo che possa confortare la sua veridicità.
In data 23/07/2015, l’Ufficio comunica alle parti la decisione di sospendere il procedimento alla luce della decadenza parziale del MUE contestato disposta dalla Divisione di Annullamento nel procedimento parallelo n. 8 750 C del 26/05/2015.
In data 22/12/2016, l’Ufficio informa le parti che la decisione n. 8 750 C del 26/05/2015 è diventata definitiva e che il procedimento in esame può procedere contro i prodotti contestati della classe 25 per i quali il MUE contestato rimane registrato, vale a dire scarpe, stivali, pantofole e calzature in genere.
QUESTIONI PRELIMINARI
- Preclusione per tolleranza
La titolare sostiene che l’azione di nullità avanzata dalla richiedente sarebbe vulnerata dal fatto che la richiedente sia stata a conoscenza della registrazione e dell’uso del MUE contestato.
Secondo l’articolo 54, paragrafi 1 e 2, RMUE, il titolare di un marchio anteriore o di un altro contrassegno anteriore che, per cinque anni consecutivi, abbia tollerato l’uso di un marchio dell’Unione Europea posteriore sul territorio in cui il marchio anteriore ovvero il contrassegno anteriore è tutelato, essendo al corrente di tale uso, sulla base del marchio o dell’altro contrassegno anteriore non può più domandare la nullità del marchio dell’Unione Europea posteriore, a meno che il deposito di quest’ultimo non sia stato effettuato in malafede.
Per far decorrere il termine di preclusione per tolleranza in caso di uso di un marchio posteriore identico al marchio anteriore o talmente simile da creare confusione, devono essere soddisfatte quattro condizioni. In primo luogo, il marchio posteriore deve essere registrato; in secondo luogo, il suo deposito da parte del titolare deve essere avvenuto in buona fede; in terzo luogo, esso deve essere utilizzato nello Stato membro in cui il marchio anteriore è tutelato; infine, in quarto luogo, il titolare del marchio anteriore deve essere al corrente della registrazione del marchio posteriore e dell’uso di tale marchio dopo la sua registrazione (22/09/2011, C 482/09, Budweiser, EU:C:2011:605, § 54 e 56-58).
Il Tribunale ha, inoltre, statuito che non è del tutto escluso che, in taluni casi, la coesistenza di marchi anteriori nel mercato possa eventualmente ridurre il rischio di confusione tra due marchi in conflitto rilevato dagli organi dell'EUIPO. Tuttavia siffatta eventualità può essere presa in considerazione solo qualora, quanto meno nel corso del procedimento dinanzi all'EUIPO riguardante gli impedimenti relativi alla registrazione, la richiedente o la titolare di un marchio dell’Unione Europea abbia debitamente dimostrato che la detta coesistenza si fondava sull'insussistenza di un rischio di confusione, nella mente del pubblico di riferimento, tra i marchi anteriori da esso fatti valere e il marchio anteriore dell'interveniente su cui si fonda l'opposizione e con riserva del fatto che i marchi anteriori di cui trattasi e i marchi in conflitto siano identici (11/05/2005, T 31/03, Grupo Sada, EU:T:2005:169, § 86).
Ne consegue che è imprescindibile comprovare la coesistenza nel mercato, ovvero il fatto che i consumatori siano abituati a vedere i marchi in conflitto senza confonderli.
Nel caso di specie, la titolare non ha fornito alcuna indicazione che consenta di determinare che il marchio contestato e il segno anteriore invocato dalla richiedente siano effettivamente coesistiti nel medesimo mercato italiano. Infatti, la titolare si è limitata a sostenere che la richiedente fosse a conoscenza della registrazione e dell’uso del marchio contestato in quanto le parti utilizzano segni identici nel medesimo settore e poiché è ragionevole aspettarsi che una società di grandi dimensioni come quella della richiedente intraprenda un’abituale politica di controllo sull’uso di marchi di società concorrenti.
Tali argomenti sono deduzioni della richiedente che non sono supportate da alcuna prova e in mancanza d’indicazioni sulla pacifica coesistenza nel mercato italiano dei marchi in oggetto, né sulla conoscenza dell’esistenza del MUE contestato da parte della richiedente, il motivo basato sull’articolo 54 RMUE avanzato dalla titolare risulta infondato.
- Sui diritti anteriori invocati dalla titolare
Nelle proprie osservazioni, la titolare sostiene che il diritto anteriore sul marchio non registrato ‘ATTIVA’ invocato dalla richiedente è successivo alla registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 93 021, depositato il 28/03/1996, registrato il 13/05/1998 e rivendicante una preesistenza italiana che risale al 28/01/1993.
A detta della titolare, un eventuale preuso come marchio del segno ‘ATTIVA’ da parte della richiedente dovrebbe essere considerato illegittimo poiché in violazione dei diritti della stessa titolare sul MUE n. 93 021.
Nel caso di specie, tuttavia, il diritto anteriore invocato dalla richiedente deve essere valutato esclusivamente in relazione al MUE contestato indipendentemente dal fatto che lo stesso sia preceduto da altre registrazioni, nazionali o dell’Unione Europea, in capo alla stessa titolare. Pertanto, poiché la registrazione succitata esula dalla portata del presente procedimento, la rivendicazione della titolare non può essere accolta.
MOTIVI DI NULLITÀ – Articolo 53, paragrafo 1, lettera c), RMUE, in combinato disposto con l’Articolo 8, paragrafo 4, RMUE
Principi generali
Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, in seguito all’azione del titolare di un marchio non registrato o di un altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale e di portata non puramente locale, il marchio impugnato è dichiarato nullo se e in quanto, conformemente a una normativa dell’Unione o alla legislazione dello Stato membro che disciplina detto segno:
a) sono stati acquisiti diritti a detto contrassegno prima della data di presentazione della domanda di marchio dell’Unione Europea, o della data di decorrenza del diritto di priorità invocato per la presentazione della domanda di marchio dell’Unione Europea;
b) questo contrassegno dà al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo.
I motivi del rifiuto previsti dall’articolo 8, paragrafo 4, RMUE sono quindi soggetti ai seguenti requisiti:
- il segno anteriore dev’essere stato utilizzato nella normale prassi commerciale e aver avuto una portata non puramente locale prima del deposito del marchio impugnato;
- conformemente alla legislazione che lo disciplina, prima del deposito del marchio impugnato la richiedente ha acquisito diritti sul segno sul quale si fonda l’azione, compreso il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo;
- le condizioni alle quali l’uso di un marchio successivo può essere proibito sono soddisfatte in relazione al marchio impugnato.
Poiché tali condizioni sono cumulative, qualora un segno non soddisfi una di esse, l’azione fondata sull’esistenza di un marchio non registrato o di un altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale, secondo il significato attribuito dall’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, non può essere accolta.
Utilizzo nella normale prassi commerciale di portata non puramente locale
La richiedente sostiene di avere acquisito un diritto anteriore sul marchio non registrato ‘ATTIVA’ utilizzato nella normale prassi commerciale per calze, calzini, gambaletti, calzamaglie e collant dal 1991 in Italia.
Come sopra indicato, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, l’esistenza di un marchio anteriore non registrato o di un altro segno legittima la domanda di nullità se il segno in questione soddisfa, inter alia, le seguenti condizioni: essere utilizzato nella normale prassi commerciale e avere una portata non puramente locale.
Queste due condizioni risultano dal testo stesso dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE e devono pertanto essere interpretate alla luce del diritto dell’Unione. La finalità comune delle due condizioni stabilite dall'articolo 8, paragrafo 4, RMUE è di limitare i conflitti tra i segni impedendo che un diritto anteriore che non è sufficientemente caratterizzato – ossia importante e significativo nella prassi commerciale – possa ostacolare la registrazione di un nuovo marchio dell’Unione Europea. Tale facoltà di opposizione deve essere riservata ai segni che sono effettivamente e realmente presenti sul loro mercato pertinente (29/03/2011, C-96/09 P, Bud, EU:C:2011:189, § 157).
Per quanto riguarda il periodo di utilizzo del marchio, la richiedente deve dimostrare che l’utilizzo del segno invocato ha avuto luogo prima del deposito della domanda del MUE contestato (29/03/2011, C-96/09 P, Bud, EU:C:2011:189, § 166-168).
In merito ai procedimenti di annullamento, inoltre, l’utilizzo del segno invocato deve essere continuato e ininterrotto fino al deposito della domanda di nullità, altrimenti non si potrebbe garantire che i diritti sul marchio non registrato non siano decaduti. In questo contesto, la regola 19, paragrafo 2, lettera d), REMUE, stabilisce espressamente che se un’opposizione – e, per analogia, una domanda di nullità – si basa su un diritto anteriore nel senso indicato all'articolo 8, paragrafo 4, RMUE, l’opponente (e la richiedente la nullità) deve fornire prova della sua acquisizione, della sua attuale esistenza e della portata della protezione di tale diritto.
Nel caso di specie, il MUE contestato è stato depositato il 17/05/2007. Pertanto, la richiedente doveva dimostrare che il segno invocato fosse stato in uso, al momento del deposito della domanda del MUE contestato, in modo continuato e ininterrotto fino al deposito della domanda di nullità proposta contro lo stesso marchio (04/12/2013).
Occorre anzitutto verificare se siano soddisfatte le condizioni relative all’uso del segno nella normale prassi commerciale e alla sua portata non puramente locale. Secondo la giurisprudenza del Tribunale, la portata di un contrassegno utilizzato per identificare determinate attività commerciali deve essere definita in relazione alla funzione d’identificazione da esso svolta. Tale rilievo esige che si tenga conto, in primo luogo, della dimensione geografica della portata del contrassegno, ossia del territorio sul quale esso è utilizzato per identificare l’attività economica del suo titolare, come risulta da un’interpretazione letterale dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE. In secondo luogo, occorre tener conto della dimensione economica della portata del contrassegno, valutata in base al periodo durante il quale esso ha assolto la propria funzione nella normale prassi commerciale e all’intensità del suo uso, tenendo conto della cerchia dei destinatari tra i quali il segno di cui trattasi è divenuto noto quale elemento distintivo, vale a dire i consumatori, i concorrenti nonché i fornitori, oppure della diffusione data al contrassegno, ad esempio, tramite pubblicità o in Internet (24/03/2009, T-318/06 e T-321/06, General Optica, EU:T:2009:77, § 36-37; 30/09/2010, T-534/08, Granuflex, EU:T:2010:417, § 19).
Tutti i suddetti criteri devono essere soddisfatti dalle prove addotte a sostegno del contrassegno anteriore rivendicato. Nel caso di specie, la richiedente ha prodotto quanto segue:
- Allegato 1: Visure camerali delle società Gilfin S.p.A. (la richiedente) e Golden Lady Company S.p.A.
- Allegato 2: Estratti dal sito web www.omsa.it recanti informazioni in italiano e immagini di confezioni di collant sulle quali è apposto il segno ‘ATTIVA’. A fine pagina è riportato come copyright date per il periodo 2010-2013.
- Allegato 3: Listino prezzi del 1992 nel quale il segno ‘ATTIVA’ viene indicato nella sezione collant e statistiche vendite riferite al periodo 1991-1993.
- Allegati 4 e 5: Materiale pubblicitario costituito da:
- Immagini di spot pubblicitari, emessi nel territorio italiano, in cui il segno ‘ATTIVA’ viene usato in relazione a collant.
- Video di spot televisivi trasmessi in Italia nel periodo 1997 – 2007 nei quali vengono mostrati confezioni di collant a marchio ‘ATTIVA’ e i prodotti in oggetto vengono indicati come ‘ATTIVA di OMSA’. Gli spot riguardano inoltre il mercato spagnolo, russo e ucraino.
- Allegati 6 e 7: Presentazione di un piano di investimenti per il 2002 e prospetto di spese in marketing per i prodotti a marchio OMSA per il periodo 2008-2013.
- Allegato 8: Cataloghi per il periodo 2007-2013 nei quali vengono illustrati, tra gli altri, collant della ‘LINEA ATTIVA’.
- Allegato 9: Copia di più di 800 fatture relative al periodo 2003 – 2013 attestanti la vendita di svariati collant a marchio ‘ATTIVA’ (indicati con la dicitura ‘COLL. ATTIVA’) a clienti residenti nel territorio italiano. In ognuna delle fatture figurano la vendita di centinaia, e in alcuni casi migliaia, di articoli.
Il materiale probatorio è, nel suo complesso, idoneo a dimostrare che il segno ‘ATTIVA’ è stato utilizzato nella normale prassi commerciale e con portata non puramente locale nel territorio italiano con riferimento a collant.
Nelle proprie osservazioni, la titolare sostiene che una parte della documentazione della richiedente non contiene sufficienti indicazioni in merito al periodo e al territorio di riferimento. A detta della titolare, inoltre, molti documenti, come i cataloghi, gli estratti da Internet e i prospetti relativi al volume d’affari non sarebbero rilevanti poiché provengono dalla richiedente stessa e non da fonti indipendenti.
A tal riguardo, si rileva che la presente analisi deve fondarsi su una valutazione complessiva della documentazione fornita dalla richiedente, senza che gli elementi probatori presentati siano valutati individualmente.
Per quanto riguarda l’efficacia probatoria dei documenti elaborati dalla richiedente, o estratti dal suo sito web, sebbene la titolare non erri nell’affermare che essi hanno, in genere, un peso minore rispetto alle prove provenienti da fonti indipendenti, ciò non significa che a tali prove non debba attribuirsi alcun valore probatorio (28/03/2012, T 214/08, Outburst, EU:T:2012:161, § 30).
Nel caso di specie, si evidenzia che il contenuto della documentazione proveniente dalla titolare è sufficientemente suffragato dall’ulteriore materiale, in particolare da più di 800 fatture attestanti la vendita di collant a clienti residenti in tutto il territorio italiano e dal materiale pubblicitario consistente in spot televisivi, cartelli pubblicitari e cataloghi. I criteri richiamati nella citata sentenza ‘General Optica’ – ossia, la dimensione territoriale dell’uso del segno, la dimensione economica di tale uso, nonché la funzione di identificazione svolta dal segno usato nella prassi commerciale – vengono, pertanto, soddisfatti.
Quanto al primo requisito, nonostante una parte del materiale pubblicitario si riferisca al mercato spagnolo, russo e ucraino, dai destinatari delle fatture, dalla lingua utilizzata sulle confezioni dei prodotti e dagli spot televisivi recitati in lingua italiana si evince un chiaro riferimento al mercato italiano. Va, infatti, rilevato che le fatture coprono la grande maggioranza delle regioni italiane.
Per quanto riguarda la dimensione economica dell’uso, la richiedente ha fornito un elevato numero di fatture che rivelano una concreta presenza del marchio sul mercato italiano, e ciò anche in considerazione degli importi menzionati in ciascuna di esse (in certi casi, fino ad alcune migliaia di euro) nonostante la relativa economicità dei singoli prodotti commercializzati (prezzi unitari di circa 2 Euro). La Divisione di Annullamento rileva che le fatture costituiscono validi strumenti per dimostrare la portata e la continuità dello sfruttamento commerciale del segno sul mercato. I prodotti sono stati venduti a un’ampia serie di clienti e, inoltre, la richiedente ha dimostrato di aver promosso il proprio segno distintivo attraverso varie attività pubblicitarie. Sebbene il materiale pubblicitario fornito non sia accompagnato da dati relativi alle quote di share televisivo e alla diffusione presso il pubblico di riferimento, gli spot pubblicitari, i cataloghi, le schede tecniche dei prodotti e le fatture fanno tutti riferimento alla linea di collant ‘ATTIVA’ e dimostrano l'uso del segno di cui trattasi nell'ambito di un’attività commerciale diretta ad un vantaggio economico e non nella sfera privata (11/09/2007, C 17/06, Céline, EU:C:2007:497, § 17; 12/11/2002, C 206/01, Arsenal, EU:C:2002:651, § 40; 25/01/2007, C 48/05, Opel, EU:C:2007:55, § 18). Tale uso risulta, complessivamente, coprire l’intero arco temporale sopra indicato, ovvero il periodo precedente il momento del deposito della domanda del MUE contestato fino al deposito della domanda di nullità proposta contro lo stesso marchio.
Quanto alla funzione d’identificazione svolta dal segno invocato dalla richiedente, la titolare contesta che il segno in esame non sia stato utilizzato in funzione di marchio, poiché impiegato esclusivamente in combinazione con il segno ‘OMSA’ o, in alcuni casi, con il marchio ‘GOLDEN LADY’ al fine di descrivere le caratteristiche benefiche e riposanti di una linea di collant prodotta dalla richiedente.
Come correttamente fatto valere dalla richiedente, si nota che in taluni settori di mercato è abbastanza consueto che prodotti o servizi rechino non solo il loro marchio individuale, ma anche il marchio aziendale. In questi casi il fatto che vengano apposti più marchi su uno stesso prodotto non esclude che i segni siano validamente utilizzati in funzione distintiva.
In merito all’argomento della titolare sull’uso descrittivo della parola attiva per collant, la Divisione di Annullamento rileva che tale termine si riferisce generalmente a persone o cose che sono ‘in attività, cioè in funzione’, o a qualcuno o qualcosa che ‘ha capacità di agire’ (da Vocabolario Treccani Online). Sebbene tale accezione possa suggerire che i prodotti in oggetto possano ‘attivare’ determinate funzioni, in concetto di ‘essere in attività’ rimane astratto con riferimento ai prodotti collant e non contiene alcuna informazione direttamente associabile alle caratteristiche di tali prodotti. Di conseguenza, la Divisione di Annullamento ritiene il segno ‘ATTIVA’ sufficientemente distintivo per collant.
Nel presente caso, inoltre, il segno in esame appare nella sezione delle fatture avente ad oggetto la descrizione dei prodotti venduti, nella quale vengono riportate le diciture ‘COLL. ATTIVA 20’, ‘COLL. ATTIVA 40’ o ‘COLL. ATTIVA 70’. Pertanto, sebbene l’intestazione di tali documenti mostri anche le denominazioni sociali ‘GOLDEN LADY COMPANY’ e ‘OMSA S.p.A.’ e il marchio ‘OMSA’, il segno ‘ATTIVA’ viene utilizzato sempre in modo separato ed i clienti della richiedente possono chiaramente percepirlo come un “marchio della casa”, quindi atto a stabilire una connessione con una specifica linea di prodotti.
La sufficiente connessione con i prodotti è anche dimostrata dal modo in cui il marchio appare nei cataloghi e in tutti gli altri documenti pubblicitari e commerciali prodotti dalla richiedente, dove il segno è utilizzato come segue:
La stessa modalità di uso è adoperata negli spot pubblicitari dove i prodotti della richiedente vengono promossi e citati come ‘ATTIVA di OMSA’. Pertanto, si ritiene che il segno ‘ATTIVA’ sia utilizzato dalla richiedente in funzione di marchio.
Alla luce di quanto sopra, è possibile concludere che il segno ‘ATTIVA’ è stato utilizzato nella normale prassi commerciale ed è di portata non puramente locale in Italia in relazione a collant nel periodo di riferimento.
Diritto di vietare l’uso di un marchio successivo in base alla normativa nazionale
Occorre ricordare che l’articolo 8, paragrafo 4, lettera b) RMUE enuncia la condizione secondo cui, in base al diritto dello Stato membro applicabile al segno invocato sul fondamento di questo medesimo articolo, tale segno deve conferire al suo titolare il diritto di vietare l’utilizzo di un marchio successivo. Inoltre, conformemente all’articolo 74, paragrafo 1 RMUE, l’onere di provare che tale condizione è soddisfatta grava sull’opponente (quindi, sulla richiedente la nullità) dinanzi all’EUIPO (29/03/2011, C-96/09 P, Bud, EU:C:2011:189, § 188-189).
In tale contesto, occorre tener conto, in particolare, della normativa nazionale fatta valere a sostegno della domanda di nullità e delle decisioni giurisdizionali pronunciate nello Stato membro interessato, e su tale base, la richiedente deve dimostrare che il segno in questione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dello Stato membro invocato e permette di vietare l’uso di un marchio successivo (29/03/2011, C-96/09 P, Bud, EU:C:2011:189, § 189-190).
Nella fattispecie, la richiedente ha dichiarato di ritenere applicabile la tutela prevista dal Codice italiano della Proprietà Industriale (C.P.I.) ed ha in particolar modo rivendicato la protezione conferita dagli articoli 12 e 25 di detto Codice, i quali, come mostrato dalla richiedente stessa, così recitano:
- L’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), C.P.I.: “..non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni che alla data del deposito della domanda.. siano identici o simili ad un segno già noto come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi fabbricati, messi in commercio o prestati da altri per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza tra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni [omissis]”.
- L’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), C.P.I.: “..il marchio è nullo.. se manca di uno dei requisiti previsti nell'articolo 7 o se sussista uno degli impedimenti previsti dall'articolo 12”.
Di conseguenza, nel caso specifico, in conformità della legge che disciplina il segno in questione, un marchio non registrato (indicato nella prassi italiana anche come “marchio di fatto”) è definito come “un segno già noto come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi” immessi sul mercato. Secondo l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), C.P.I., il segno anteriore deve essere notoriamente conosciuto. Inoltre, alla richiedente è conferito il diritto di vietare l’uso di marchi successivi qualora sussista tra essi e il segno anteriore un rischio di confusione, che può consistere anche in un rischio di associazione.
Infine, in base all’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), C.P.I., se sussistono gli impedimenti previsti dall’articolo 12, C.P.I., il marchio successivo è nullo.
- Segno noto come marchio o segno distintivo nel mercato
Come visto nella sezione precedente, il marchio non registrato deve, secondo l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), C.P.I., essere notoriamente conosciuto nel mercato. Nel presente caso, la Divisione di Annullamento è del parere che detto requisito sia pienamente soddisfatto rispetto ai prodotti collant.
I documenti prodotti dimostrano che nel periodo di riferimento la richiedente ha posto in essere un’attività commerciale diffusa in tutto il territorio italiano accompagnata da operazioni di marketing che hanno promosso il proprio segno attraverso pubblicità commerciale su mezzi televisivi, internet e mezzi cartacei. Tale attività è sicuramente idonea a dimostrare una notorietà diffusa del marchio nel territorio italiano, oltre a denotare un’effettiva e concreta intenzione della richiedente di fare del marchio in esame il proprio segno identificativo nel mercato, e ciò anche in considerazione del fatto che la comunicazione commerciale è uno dei mezzi principali attraverso i quali un segno acquisisce la sua capacità d’identificatore di origine. Il materiale pubblicitario e promozionale, associato al volume d’affari comprovabile grazie alle circa 870 fatture di prodotti inviati a clienti residenti in numerose regioni italiane, permette, dunque, di determinare che il segno ‘ATTIVA’ della richiedente sia “noto come marchio o segno distintivo” in Italia in relazione a collant.
- Rischio di confusione
Sussiste un rischio di confusione se vi è il rischio che il pubblico possa ritenere che i prodotti o i servizi in questione, qualora rechino i marchi di cui trattasi, provengano dalla medesima impresa o, a seconda dei casi, da imprese economicamente collegate. La sussistenza di un rischio di confusione dipende dall'apprezzamento, nell'ambito di una valutazione globale, di diversi fattori che sono in rapporto di reciproca dipendenza. Tali fattori includono la somiglianza dei segni, la somiglianza dei prodotti e dei servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto così come il pubblico di riferimento.
Nel caso di specie, occorre dunque procedere a un confronto dei prodotti e dei segni in conflitto.
- I prodotti
Dalle prove fornite risulta che il marchio non registrato della richiedente è stato utilizzato con riferimento a collant.
I prodotti contestati sono i seguenti:
Classe 25: Scarpe, stivali, pantofole e calzature in genere.
I prodotti contestati scarpe, stivali, pantofole e calzature in genere hanno, al pari degli articoli d’abbigliamento, inclusi i collant della richiedente, sono destinati ad essere indossati dalle persone, sia come protezione dalle intemperie sia come articoli di moda, e in quanto tali si trovano spesso negli stessi reparti dei grandi magazzini e nei medesimi punti vendita al dettaglio. I consumatori che intendono acquistare degli articoli di abbigliamento, quali i collant, si aspettano di trovare le calzature nello stesso reparto o nello stesso negozio e viceversa. Inoltre, è comune per produttori e designer concepire e realizzare sia articoli di abbigliamento, come collant, calze, etc., che i vari tipi di calzature per cui il MUE contestato è registrato. Di conseguenza, i prodotti in conflitto sono simili.
- I segni
ATTIVA
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ATTIVA
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Segno anteriore |
Marchio contestato |
I segni sono identici.
– Conclusioni sulle condizioni ai sensi della legislazione applicabile
Per quanto concerne i marchi non registrati, il Codice italiano della Proprietà Industriale pone a condizione della loro tutela l’uso tale che essi siano notoriamente conosciuti in Italia o in una parte sostanziale del paese. Questo requisito, come visto sopra, è da considerarsi adempiuto.
Inoltre, i marchi non registrati vengono in generale protetti contro i marchi successivi nel caso dell’esistenza di un rischio di confusione e, quindi, in base agli stessi criteri applicabili ai conflitti tra marchi registrati, in particolare in base ai criteri dell’identità o somiglianza dei segni, dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi. In questi casi, i criteri elaborati dai giudici e dall'Ufficio per l'applicazione dell'articolo 8, paragrafo 1, RMUE, possono facilmente essere trasposti all’articolo 8, paragrafo 4, RMUE.
Nel presente caso è stato riscontrato che i marchi in esame sono identici, mentre i prodotti contestati sono simili ai prodotti utilizzati dalla richiedente. Di conseguenza, la Divisione di Annullamento ritiene che sussista un rischio di confusione, compreso un rischio di associazione, così come previsto dalla legislazione applicabile di cui l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), C.P.I.
Alla luce di quanto sopra, tenuto conto che sussistono gli impedimenti previsti dall'articolo 12 C.P.I., può essere dichiarata la nullità del marchio contestato ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 1, lettera a), C.P.I.
Conclusione
In considerazione di quanto sopra, la Divisione di Annullamento ritiene che la domanda di nullità risulta fondata sulla base dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, in combinato disposto con l’articolo 53, paragrafo 1, lettera c), RMUE. Ne consegue che la domanda deve essere accolta nella sua interezza e che il marchio dell’Unione Europea contestato deve essere dichiarato parzialmente nullo per tutti i prodotti contestati.
Il marchio della titolare rimane registrato per tutti i prodotti non contestati, vale a dire:
Classe 18: Articoli fabbricati in cuoio e imitazioni del cuoio non compresi in altre classi; bauli e valigie; borse, borsette, borselli; articoli di pelletteria in genere.
SPESE
Ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 1, RMUE, la parte soccombente in una procedura di annullamento sopporta l’onere delle tasse e delle spese sostenute dall’altra parte.
Poiché risulta soccombente, la titolare del marchio comunitario deve sopportare l’onere delle tasse di annullamento nonché tutte le spese sostenute dalla richiedente nel corso di tale procedimento.
Secondo la regola 94, paragrafi 3, 6 e 7, lettera d), punto iii), REMC, le spese da rimborsare alla richiedente sono le tasse di annullamento e le spese di rappresentanza, che devono essere determinate sulla base degli importi massimi ivi stabiliti.
La Divisione di Annullamento
Jessica LEWIS |
Pierluigi M. VILLANI |
José Antonio GARRIDO OTAOLA |
Ai sensi dell'articolo 59 RMUE, ognuna delle parti di un procedimento conclusosi con una decisione può ricorrere contro questa decisione a condizione che quest’ultima non abbia accolto le sue richieste. Ai sensi dell'articolo 60 RMUE il ricorso deve essere presentato per iscritto all'Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno della notifica della decisione. È presentato nella lingua della procedura in cui è stata redatta la decisione impugnata. Inoltre deve essere presentata una memoria scritta con i motivi del ricorso entro quattro mesi da tale data. Il ricorso si considera presentato soltanto se la tassa di ricorso di 720 EUR è stata pagata.
L’importo fissato nell’atto di determinazione delle spese potrà essere rivisto solo su richiesta mediante decisione della divisione di annullamento. Ai sensi della regola 94, paragrafo 4, REMUE, tale richiesta dovrà essere presentata entro un mese dalla data di notifica dell’atto di determinazione delle spese e si considererà presentata solo dietro pagamento della tassa per il riesame della determinazione delle spese di 100 EUR (Allegato I A paragrafo 33 RMUE).